La comparsa della moneta è legata alla necessità di semplificare gli scambi. Fino ad allora i mercanti avevano usato per le transazioni commerciali più importanti l'argento e rame, lo stagno per quelle minori. Il metallo veniva fuso in lingotti di varie forme e il pagamento effettuato in virtù di tabelle di comparazione elaborate dai sovrani. La moneta consentiva di avere a disposizione un oggetto riconosciuto, che materializzava il valore delle merci, facilmente trasportabile e divisibile in unità minori.
Prima che lo Stato assumesse diritto di battere moneta, anche un privato cittadino poteva coniare di proprie, il che costringeva i mercanti a viaggiare con una bilancia per pesare i metalli. La fase della pesatura fu resa superflua quando lo Stato assunse il monopolio della produzione della moneta, con l'apposizione su uguale monete di un'impronta che ne garantiva il peso. Il luogo da cui si diffuse l'utilizzo della moneta fu il regno di Lidia, in Anatolia. I materiali usati per il conio erano vari, ma loro, l'argento, il bronzo e il rame erano i più diffusi perché più malleabili e più duraturi nel tempo: la scelta dell'uno o dell'altro dipendeva dal costo e dalla sua reperibilità sul mercato. Le zecche, cioè i luoghi di conio delle monete, erano collegate ai templi, la loro organizzazione variava a seconda dell'importanza del tempio e dello Stato committente: comprendeva in ogni caso impiegati addetti all'amministrazione e al cambio e un tesoriere con compiti di sovrintendente. La tecnica più utilizzata per fabbricare le monete era la coniazione, ma era possibile adoperare anche, per le monete più grosse e pesanti, la fusione, che comportava l'utilizzo di matrici a due facce intera coda, che recavano impressi in negativo i tipi (la parte figurativa della moneta) e le legende (la parte epigrafica).